Sono un timido e ho paura di contagiare mio figlio
“Carlo è un uomo di 37 anni, ha un bimbo di 3 e una moglie che ama molto. Si reca in studio dallo psicologo perché preoccupato per quella che definisce una “eccessiva timidezza”, che a suo parere, lo limita molto nelle relazioni sociali e lavorative. Carlo si chiede inoltre se questa timidezza, che vorrebbe modificare, in qualche modo potrebbe passare al figlio, creandogli tutti i disagi che lui stesso riferisce di aver vissuto fin dall’infanzia. Carlo vorrebbe poter intervenire su di sé, per limitare questo tratto della sua personalità, e sul figlio per prevenirne l’insorgenza, e chiede allo psicologo se esistono delle strategie operative da attuare.”
Timidezza: definizione e prevalenza:
Quaranta persone ogni cento soffrono di timidezza. Non c’è una prevalenza maschile o femminile, ma tuttavia gli uomini vivono questo tratto con maggior intensità e disagio.
La timidezza comprende un insieme di caratteristiche cognitive, comportamentali, emotive e fisiologiche che interferiscono con la prestazione personale all’interno di contesti sociali e lavorativi, tanto da compromettere, talvolta in modo marcato, la performance o gli obiettivi dell’individuo.
Come si manifesta la timidezza?
Ansia, tensione muscolare, accelerazione del battito cardiaco, senso di nausea, eccessiva attenzione ai propri difetti e sensazione di essere sotto lo sguardo critico e giudicante degli altri, autovalutazione negativa e idee irrazionali (per esempio “nessuno si accorgerà di me perché non sono una persona interessante”), incapacità di produrre un comportamento appropriato in una situazione sociale (per esempio restare in disparte, non parlare con nessuno, evitamento e ritiro sociale).
Oltre alle caratteristiche sopra descritte ne esistono altre con una sfumatura differente: le persone timide, per esempio, hanno tempi di adattamento sociale più lunghi, così come anche tempistiche dilatate per entrare in contatto con gli altri. Essi trovano confortevole svolgere attività abitudinarie con persone già conosciute; per quanto possa sembrare strano, desiderano e amano le situazioni sociali alle quali spesso partecipano, agendo poi comportamenti disadattati per le motivazioni sopra esposte.
Spesso la timidezza è vissuta come un difetto da chi la sperimenta quotidianamente, essa però porta con sè qualche pregio: ovvero, una maggior cautela nell’approccio a situazioni potenzialmente pericolose o nuove, limitando le possibilità di esporsi a rischi o inconvenienti, e una tendenza alla cooperazione, in ambito lavorativo, in quanto il timido non mette in atto comportamenti egocentrici.
Quali e quanti tipi?
Carlo racconta di aver sperimentato questo vissuto sin dall’infanzia, ma non per tutti l’esperienza è la medesima, ci sono persone che non si definiscono timide ma che sperimentano sensazioni tipiche della timidezza solo in determinati contesti, si parla a questo proposito di timidezza situazionale. Quella che evidenzia Carlo, proprio perché riferisce di essere sempre stato così fin dalla tenera età, sembra essere più una timidezza cronica, cioè un sottotipo generalizzato a una vasta gamma di situazioni e che si protrae nel tempo. Alcune persone sperimentano la timidezza limitatamente ad alcuni periodi della loro vita, per esempio durante l’adolescenza o in momenti di transizione e cambiamento, si parla a questo proposito di timidezza transitoria.
La timidezza è ereditaria o si acquisisce nel tempo?
La preoccupazione di Carlo è quella di poter “contagiare” il figlio piccolo, cosa che l’uomo vorrebbe assolutamente evitare in quanto conosce in prima persona il disagio di vivere una vita da “timido”. Quello che Carlo si chiede permette di fare una riflessione sulle possibili cause della timidezza. Essa sembra essere il risultato dell’unione di due distinti fattori, uno biologico/ereditario e uno sociale. A livello biologico è stata evidenziata una correlazione tra la timidezza ed elevati livelli di ormoni dello stress, tra cui il cortisolo, e una eccessiva eccitabilità delle zone cerebrali imputate nella mediazione della risposta di paura ed ansia. Per quanto riguarda l’ereditarietà, sembra che i bambini timidi, evidenzino già nei primi mesi di vita un comportamento fortemente reattivo (pianto e movimenti concitati) a stimolazioni di modesta entità (esempio: rumori, suoni, luci), ricerca costante di vicinanza del genitore per il gioco ed anche in presenza di un estraneo.