A maggio abbiamo trattato la prima e seconda parte del tema “Il condizionamento: imparare è un’arte, insegnare… Un’astuzia!”.
Il condizionamento e i rinforzi
Il modo di agire, comportarsi, e parlare di ognuno di noi è molto spesso il frutto di un condizionamento che avviene in modo inconsapevole. In modo altrettanto inconsapevole i genitori/parenti possono condizionare i figli a comportarsi in un certo modo con altri bambini, con gli adulti, per quanto riguarda il cibo o il momento della nanna, ecc.
Il tipo di condizionamento che analizzeremo oggi si chiama in termini tecnici “Condizionamento operante” e si caratterizza per la presenza di rinforzi o punizioni che determinano il mantenimento, l’incremento o l’estinzione di un determinato atteggiamento.
Sono esempi di rinforzo per il bambino: ricevere un giocattolo, essere preso in braccio, un bacio, una carezza, una coccola, un dolcetto, un apprezzamento verbale, una lode al proprio comportamento, essere allontanato da una situazione spiacevole.
Sono esempi di punizioni: uno sculaccione, un rimprovero, un castigo, lasciare da solo il bambino, togliergli dalle mani ciò che ha rubato ad un altro bimbo, non ricevere l’oggetto per il quale sta facendo i capricci.
I genitori, gli educatori, i nonni e tutte le persone che entrano a far parte della vita di un minore, attraverso l’utilizzo di un rinforzo o una punizione possono indirizzare il comportamento del piccolo in una direzione piuttosto che in un’altra.
Il condizionamento operante in pratica: il rinforzo
Qualche anno fa, lavorando in una scuola materna mi capitò la seguente situazione.
Una giovane mamma iscrive il bambino di tre anni, che ancora non frequenta la scuola materna, al centro estivo. Lo scopo è vedere come il figlio si relaziona con i bambini e se riesce a superare il distacco dalla mamma. La donna vive senza il padre del bambino, dal quale si è separata dopo una difficile relazione. Paolo (nome fittizio che attribuirò al bimbo) si mostra subito come un maschietto poco abituato a seguire le regole, ciò che vuole fare lo fa senza chiedere il permesso, senza ascoltare e rispettare il divieto dell’educatrice, insomma un vero e proprio “principino sul pisello”
Cresciuto senza occasioni per socializzare con altri bambini, il fatto di trovarsi a contatto con loro lo incuriosisce ma sorprende al tempo stesso: esistono altri bambini coi quali bisogna dividere i giochi … e questo non sembra essere un concetto a Paolo conosciuto.
L’ora del pranzo diventa per le educatrici l’ora “x” in quanto da un lato vi è una particolare attenzione da prestare al bambino durante il momento del pasto (in accoglimento delle preoccupazioni della donna, che quotidianamente fa una serie infinita di domande: “Ha mangiato? Cos’ha mangiato? Com’era cucinato? Lui non è abituato a mangiare il riso. Non è abituato a mangiare la verdura. Vuole sempre i wurstel o il prosciutto”), e dall’altro c’è la mamma che si presenta regolarmente durante la pausa mensa, creando tensione inutile e interrompendo il pranzo del bambino, per portare Paolo a casa, o per assicurarsi che abbia mangiato.
Nonostante le numerose rassicurazioni di tutte le educatrici, la richiesta di non presentarsi a quell’ora ecc., la situazione è molto ingarbugliata, e ulteriormente aggravata dal fatto che la mamma quando viene a prendere il figlio o a controllare se ha mangiato (dimostrando anch’essa di non rispettare le regole) gli porta wurstel e prosciutto che gli mette in mano di nascosto dalle educatrici o non appena fuori dalla porta dell’asilo.
Come si chiama questo comportamento, alla luce di quando detto sopra?
E’ un chiaro esempio di rinforzo. Perché il bambino dovrebbe imparare a mangiare dei cibi diversi e a mangiare in mensa con gli altri compagni sapendo che la mamma arriverà di lì a poco con ciò che a lui piace tanto? In questo caso non c’è possibilità di successo nell’insegnare al bambino a mangiare cibi diversi, se il genitore non si rende conto di cosa comporta il proprio atteggiamento.
Solitamente questa situazione è una delle più comuni e che scatena litigi familiari: il figlio a tavola non mangia ciò che gli viene messo nel piatto (si intendono numerosi alimenti sempre diversi) e uno dei due genitori, per vederlo mangiare qualcosa, acconsente a cucinare tre diversi tipi di pasta, o lo accontenta dandogli gli alimenti che più gli piacciono (salumi, patatine ecc.). Il tutto abilmente condito da frasi quali “Quando crescerà imparerà a mangiare tutto. Assomiglia tutto a suo padre da piccolo”.
Per quanto siano comprensibili e giustificabili le preoccupazioni di un genitore, una lettura alternativa di tale comportamento potrebbe essere la seguente: l’atteggiamento di accondiscendenza di mamma o papà nei confronti del proprio bambino diventa una spinta (nello specifico un rinforzo) a non imparare a mangiare cibi diversi, a non modificare questo comportamento ma al contrario mantenerlo nel tempo.
Cosa fare?
Molte volte mamme e papà preoccupati dicono di aver provato ogni cosa pur di rimediare a tale situazione, si rendono disponibili a fare di tutto per cambiare questa “cosa” che non va … ma a parole. Il problema è che poi incappano ancora nello stesso errore: cedono davanti ad una lacrima, uno strillo o alla paura per una “imminente denutrizione” che porterà il bambino a malattia.
Più di mille promesse e tante parole, accordi, compromessi con il proprio figlio, che spesso si dimostrano non servire a niente, può essere utile un’azione decisa, ferma e senza ritrattazione a parte del genitore, magari introdotta da una frase tipo: “Oggi da mangiare c’è questo, non è possibile cambiarlo. Sarebbe bello tu provassi ad assaggiarlo per scoprire che esistono tante cose buone che non conosci ancora. Buon appetito”.
Se anche tu sei un genitore che “vacilla” davanti a una lacrimuccia, raccontaci la tua storia. Potrebbe essere un buono spunto per un altro esempio.